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Andare a convivere con il nuovo compagno giustifica, di norma, una riduzione del mantenimento.
La Corte d’Appello di Roma, con decreto del 1.3.16, fa il punto su un tema da sempre tra i più accesi del diritto di famiglia: vale a dire il mutamento delle condizioni economiche del coniuge e il relativo diritto al mantenimento.
Nel caso specifico la (ex) moglie chiedeva la revisione dell’accordo di separazione, sotto forma di aumento del mantenimento da parte dell’(ex) marito, adducendo un peggioramento delle sue condizioni economiche, e ciò sulla base di due punti:

  • di essere disoccupata;
  • di aver lasciato l’abitazione precedente in quanto non poteva sostenere i canoni di locazione e di essere andata a convivere con il nuovo compagno.

Con specifico riferimento al secondo profilo, i Giudici di Appello di Roma hanno lucidamente osservato che il fatto per cui la donna abbia intrapreso una nuova convivenza more uxorio, rinunciando a pagare i canoni di locazione del proprio appartamento, nel caso specifico, costituisse non un peggioramento delle condizioni economiche, bensì al contrario (e naturalmente) un evidente miglioramento, tale da giustificare, inevitabilmente, il rigetto del ricorso.
Senza contare che già di per sé, una nuova convivenza more uxorio può valere a escludere il riconoscimento dell’assegno di mantenimento come da giurisprudenza di legittimità consolidata (Cass. 6855/15; Cass. 17195/11).
A  ciò si aggiunga che, nel caso specifico, non è stata ritenuta di per sé sufficiente la dichiarazione, da parte della ricorrente, circa il suo stato disoccupazionale.
A riguardo, si ricorda, per completezza, che con più arresti gli Ermellini hanno chiarito che lo stato disoccupazionale del coniuge di per sé non giustifica la persistenza (tanto meno un aumento) del mantenimento, ove dovuto a monte, da parte del coniuge avente reddito; ciò si ha quando, ad esempio, lo stato di inerzia occupazionale sia dovuto a una “pigrizia tendenziale” del soggetto a non adoperarsi per trovare una nuova occupazione (cfr. ex multis, Cass. 24324/15).