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Commissione Tributaria Provinciale, Reggio Calabria, sentenza 16/04/2014
Con la sentenza 16 aprile 2014 la CTP di Reggio Calabria prende coraggiosamente posizione su una questione che, da molte parti, si riteneva oramai “archiviata”, vale a dire la prescrizione del credito erariale.
La decisione (Presidente: V. Tripodi – Relatore: A. Cianfarini) presenta aspetti di indubbio interesse innanzitutto per essere in “controtendenza” rispetto all’orientamento che, da anni, ha preso piede soprattutto in Cassazione e, in secondo luogo, per l’originale argomentazione logico-giuridica contenuta nella parte motiva.
Nel caso di specie, a un contribuente era stata notificata una cartella esattoriale nell’aprile del 2006 e poi, a distanza di oltre 6 anni (maggio 2012), gli veniva notificata la relativa intimazione di pagamento.
Il contribuente eccepiva diversi profili di illegittimità tra cui, per ciò che qui rileva, l’avvenuta prescrizione del credito e l’intervenuta decadenza dall’azione ex art. 25, DPR 602/73.
Egli sosteneva che il credito si fosse prescritto in quanto era decorso un quinquennio dall’asserita (poi comprovata) notifica della cartella.
L’Agente della riscossione eccepiva, al contrario, come la prescrizione non fosse maturata in quanto si trattava di prescrizione decennale.
È su questa specifica questione che si innesta la decisione in commento.
In primo luogo la Commissione Tributaria adita sottolinea come, nel sistema tributario italiano, non sussista una norma generale che stabilisca il termine prescrizionale del debito erariale.
Ciò premesso, richiamando precedenti di legittimità, i Giudici Tributari fanno presente come, se da un lato è vero che l’ingiunzione fiscale costituisca atto amministrativo, cumulativa in sé delle caratteristiche proprie del titolo esecutivo e del precetto, dall’altro deve però escludersi che tale atto, in assenza di una pronuncia giurisdizionale, possa acquisire efficacia di “giudicato”.
Da ciò consegue, logicamente, l’inapplicabilità dell’art. 2953 cod. civ., il quale dispone che “(i) diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.
Da questa premessa la CTP fa discendere la prima conclusione, ossia che un atto amministrativo (cartella di pagamento) non confermato da sentenza definitiva di condanna necessariamente soggiace agli ordinari termini di decadenza e prescrizione (da non intendersi per tali quelli di cui all’art. 2953 cod. civ.).
Successivamente la CTP nega che si possa ricorrere a un’applicazione estensiva dell’art. 2946 cod. civ., in base al quale la prescrizione decennale opera qualora la legge non disponga diversamente.
La Commissione non intende ricorrere a tale articolo di legge in quanto ritiene che, nel caso delle imposte erariali, una norma che disponga diversamente ci sia e che si tratti dell’art. 2948, n. 4, il quale sottopone a prescrizione quinquennale “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.
Secondo la CTP l’applicabilità di questa disposizione all’ambito del credito erariale deve necessariamente evincersi a seguito di un’accurata ricerca sistematica.
Ebbene, la Commissione calabrese, aderendo a un orientamento minoritario, afferma che le obbligazioni tributarie (a prescindere dalla tipologia d’imposta) hanno fisiologicamente insita la caratteristica della “periodicità” alla quale l’art. 2948 n. 4 cod. civ. riconduce la prescrizione quinquennale.
La decisione in commento è tanto più degna di nota in quanto si premura di confutare la tesi maggioritaria per la quale la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4 cod. civ. opererebbe soltanto per le obbligazioni tributarie con causa debendi continuativa: secondo questo orientamento, tale sarebbe il caso dei soli tributi locali (TARSU, TOSAP, ecc…) ma non di quelli erariali.
Sennonché, nota la CTP, all’art. 2948 n. 4 cod. civ. non dovrebbe essere attribuito un senso più ampio di quello che in realtà emerge dal dato letterale (in applicazione del canone ermeneutico lex tam dixit quam voluit): è vero, si osserva, che nei tributi locali la periodicità del tributo è legata (si direbbe in via “sinallagmatica”) per lo più all’erogazione di determinati servizi o all’autorizzazione al compimento di determinati atti, ma ciò non sembrerebbe essere il requisito della “periodicità” richiesto dall’art. 2948 n. 4 cod. civ.
In altri termini la CTP distingue, a nostro avviso condivisibilmente, tra il concetto di “corrispettività” dei servizi (presente nei tributi locali) e quello di “periodicità” della prestazione, sottolineando come tale periodicità sia ravvisabile anche nelle obbligazioni tributarie di natura statale (in particolare, imposte dirette e IVA, laddove, ricorda la CTP, il debito sorge di anno in anno o, come per l’IVA, trimestralmente).
Anche in questa tipologia di tributi (quelli erariali) sarebbe dunque ravvisabile quella “causa debendi continuativa” che la giurisprudenza maggioritaria ritiene condizione necessaria all’applicazione del termine quinquennale.
La presente tesi sarebbe avvalorata, a parere della Commissione calabrese, anche dall’art. 26 del DPR 602/73, il quale impone al concessionario l’obbligo di conservare copia delle cartelle per cinque anni (e non dieci).
La questione della prescrizione è forse una delle più delicate tematiche in ambito tributario, soprattutto alla luce del fatto che, negli anni, i poteri dell’Agente della Riscossione sono stati potenziati e perfezionati a dismisura.
È dunque doveroso che il contribuente di uno Stato di Diritto sia posto nelle condizioni di comprendere con chiarezza fino a quando una sua pendenza con il Fisco potrà essere riscossa o eseguita ed è, specularmente, obbligo del Legislatore in primis(e non della giurisprudenza!) emanare norme generali e comprensibili: questo sia in nome della “buona amministrazione” voluta dall’art. 97 Cost. che dallo Statuto dei Diritti del Contribuente, per il quale il rapporto con il cittadino deve essere improntato, inevitabilmente, a buona fede.
Va detto che, ad oggi, la legislazione tributaria non sembra essere di aiuto a chi volesse rinvenire una regola generale.
Valgano, a riguardo, alcuni esempi: l’art. 78 del DPR 131/86 prevede che il credito per l’imposta di registro definitivamente accertata si prescrive in dieci anni, mentre si prescrive in cinque anni la riscossione dei diritti doganali (art. 84 del DPR 43/73).
Ove ciò non bastasse, l’art. 20, co. 3 del DLgs 472/97 dispone che “il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive in cinque anni”.
Se si considera che, ad esempio, l’imposta di registro (almeno quando essa è dovuta in misura fissa) può atteggiarsi come “tassa” e costituire la prestazione di un servizio pubblico (la registrazione e la conservazione di un atto, nonché l’apposizione di data certa), non si vede in cosa essa dovrebbe differire da quei tributi locali a cui la giurisprudenza prevalente si è già pregiata di attribuire la prescrizione quinquennale.
Forse, anche alla luce di questo semplice esempio si comprende come non vi sia ancora, in ambito tributario, una visione organica e sistematica dell’istituto della prescrizione, essendo invece esso rimesso, piuttosto, a norme specifiche per i singoli tributi (a differenza del diritto civile, in cui la prescrizione costituisce un istituto generale).
Questa normazione “a macchia di leopardo”, a ben vedere, è purtroppo tipica della legislazione tributaria in generale: sono molti anni che il Legislatore fiscale non emana norme organiche o testi di legge compiuti, vuoi per la fisiologica “urgenza” e “improrogabilità” che caratterizzano l’iter legislativo italiano (in cui sembra non ci sia mai il tempo, per le Commissioni Legislative, di fare il proprio lavoro), vuoi per la sempre fisiologica e rapida “mutevolezza” del diritto tributario e delle esigenze che vi sottostanno.
Premesso ciò, non può negarsi come, almeno su certe questioni fondamentali (qual è proprio la prescrizione) servirebbero norme chiare, accessibili e comuni a tutti i tributi, e ciò in nome, soprattutto, di quella certezza del diritto da cui uno Stato Moderno non può prescindere.
Sarà forse necessario, anche questa volta, che si consolidi un chiaro orientamento di legittimità prima che il Legislatore intervenga con una normativa chiara.
In ogni caso, decisioni di merito come quella qui commentata hanno sicuramente il pregio di mettere a fuoco questioni spesso immeritatamente trascurate.